Da una parte abbiamo la biodiversità di un territorio, dall’altra la biodiversità all’interno delle specie agrarie. Ebbene, quest’ultima è aumentata. Grazie alla genetica, ovvio. Alcuni numeri, giusto per orientarsi. Le varietà di frumento (in gran parte conservate nelle banche del germoplasma) ammontano a 800 mila (madre natura, prima di Mendel non avrebbe saputo fare di meglio). Riso? 600 mila. Orzo? 420 mila. E fagiolo 12 mila varietà. Queste varietà – ripeteva fino alla noia, Michele Stanca– sono dei salvadanai: invece di coltivarle tale e quali, insomma riesumarle (sarebbe come rimettere un 500 d’epoca sulle strade di oggi, è uno sfizio piacevole d’accordo, ma non c’è gara con le macchine odierne), possiamo usare le eventuali resistenze o alcune specifiche caratteristiche qualitative per costruire nuove piante capaci che possono adattarsi meglio all’ambiente che verrà. Visto che ci siamo, ricordiamo come una nenia anche noi: sarà (quell’ambiente) abitato da 10 miliardi di persone e subirà l’impatto dei cambiamenti climatici, dunque conservare sì per ricostruire. La genetica questo fa: si occupa del miglioramento, quantità e qualità, devono andare insieme.
In memoria della buon’anima di Michele Stanca.
Le bufale sono cose serie. Storia virtuosa della mozzarella, la seconda puntata la potete leggere qui
Qui, invece, la prima parte (se ve la siete persa).