La biodiversità del virus, innanzitutto, è un bel problema, perché conosciamo poco dei patogeni virali che vivono negli animali catturati e mangiati. Poi è un problema doppio, perché per ragioni varie e paradossi cognitivi di cui il nostro cervello è ghiotto, tendiamo a saltare la rubrica prevenzione.
Sulla rivista Cell, un gruppo di scienziati cinesi ha pubblicato un’analisi dei virus presenti negli animali selvatici, commercializzati e mangiati in Cina. Dunque, studiando il genoma di 2.000 esemplari (appartengono a 18 specie e 5 ordini di mammiferi) sono stati identificati 102 virus di cui più della metà, per la precisione 65, descritti per la prima volta. Proseguendo della inquietante indagine, si scopre che di questi virus 21 sono da considerarsi ad alto rischio. Tra i virus, i ben noti coronavirus sono quelli che più facilmente saltano da una specie all’altra e infatti lo fanno eccome: come su una giostra, alcuni virus sono saltati dal pipistrello alle civette delle palme, altri dal pipistrello ai ricci, dagli uccelli ai porcospini. Non mancano casi di percorsi inversi, dagli uomini agli animali.
Per fortuna non stanno mancando analisi serie che illuminano territori finora sconosciuti. Di recente la rivista Nature, ha pubblicato un lavoro nel quale si rubricano ben 100 mila virus a RNA completamente sconosciuti.
Che fare? Sbarrare la porta, culturalmente e legalmente, allo spaccio di animali esotici che ricordiamo è il quarto traffico illegale al mondo, dopo droga, armi ed esseri umani.
E poi prevenzione. Che richiede, si sa, un grande investimento di energie: fai delle cose ora per proteggerti da qualcosa che non vedi. Siccome i risultati sono ottimi bisogna insistere, farla diventare un’abitudine diffusa e obbligatoria, perché poi tendiamo a dimenticare questi bei risultati e non ci impegniamo ulteriormente, mentre virus e batteri crescono esponenzialmente.