Noi siate ciechi! Dicono a mo’ di memento mori i predicatori, aprite i vostri occhi verso gli dèi. Non so quanto e se siamo ciechi e quanto ci sia bisogno di predicatori, ma una cosa è certa: verso le piante abbiamo una acclarata cecità. Si chiama Plant Blindness. Per ragioni evolutive preferiamo le cose che si muovono, come i predatori o le prede, rispetto a quelle che stanno ferme. E le piante stanno ferme.
Il fatto è che ciechi come siamo, diamo molte cose per scontato. Senza le piante, a parte che la vita avrebbe preso un’altra piega, ma non ci sarebbero alcuni pilastri del nostro caro e vecchio sistema biologico.
Le piante prendono anidride carbonica e producono ossigeno, quelle acquatiche purificano l’acqua, offrono cibo. E poi le piante (e il verde) sono belle, e anche se non ce ne accorgiamo ci regalano anche parecchi benefici e sollievi psicologici.
Le piante sono il nostro oggi e il nostro domani e pure il dopodomani, voglio dire se volessimo realizzare una base spaziale, prima dovremmo portare lì le piante.
La base spaziale, del resto, non è citata per amore della fantascienza. Ci sono molti gruppi di scienziati che si intessano a questo aspetto. Per esempio, il team guidato dalla professoressa Stefania De Pascale sta collaborando da anni sia con l’Agenzia Spaziale Europea sia con quella Italiana. Scopo? Portare le piante su una base spaziale sulla Luna o su Marte.
Possiamo affermare in maniera tranchant che la strada che porta verso la Luna o Marte è lastricate dalle piante.
Non è uno sfizio, perché questi studi molto innovativi hanno ricadute terrestri, per così dire: progettare piante per ambienti estremi o (per ora) impossibili (come Marte) significa anche pensare a come preparaci a risolvere dei problemi qui e ora sulla terra, qualora, per mutamenti climatici o altro, lo scenario agronomico dovesse farsi più ostico.
Anche se ci sembra insensato, sperimentare oggi significa costruire le basi d’appoggio per il domani. Stefania De Pascale ci ricorda per esempio che gli americani dopo la Seconda guerra mondiale cominciarono a provare la coltivazione fuori suolo per produrre cibo per i propri soldati di stanza in Giappone, visto che i generali americani temevano che i suoli giapponesi fossero contaminati.
Così come i led, ora molto usati per la coltivazione delle piante nella vertical farming (forniscono alle piante la giusta lunghezza d’onda necessaria per la fotosintesi), nascono da progetti ideati dalla NASA per coltivare piante in ambiente chiusi ed estremi come le serre spaziali.
Quindi l’invito è: guardiamo le piante, conosciamole, sperimentiamo, miglioriamole con tutte le tecniche a disposizione, e poi proviamole in campo con la metodologia scientifica.
Apriamo dunque gli occhi sulle potenzialità e gli infiniti benefici delle piante. E soprattutto, finanziamo la ricerca, altrimenti i progetti rimangono sulla carta e diventano al massimo spunti utili per storie fantascientifiche.
Insomma, facciamo continuare il party dell’innovazione, (e versiamo un po’ di euro, sono soldi bene spesi).