Piante nello spazio? Per saperne tutto, abbiamo preparato un riassunto, per punti e domande, del talk di Stefania de Pascale – professoressa ordinaria presso la facoltà di Agraria all’Università di Napoli Federico II, – al festival di Agrifoglio del 16 novembre scorso.
Cos’è la stazione spaziale: Stazione che orbita a circa 400 km dalla terra, raggiungibile in 4 ore, dunque ci si impiega meno ad andare nello spazio che percorre in treno AV la tratta Milano Napoli.
E con l’aria e l’acqua, come si fa: ci sono sistemi di rigenerazione. Per esempio, l’acqua viene ottenuta dalla condensazione e rigenerazione dei liquidi organici, fatti conti si calcola che un’astronauta Scott Joseph Kelly ha bevuto, in un anno di permanenza sulla ISS, circa 730 litri della propria urina e sudore.
Il cibo: Viene portato dalla terra: non si possono mica accendere i fornelli.
E il desiderio di Samanta Cristoforetti? A Carlo Conti, a Sanremo, che le domandava cosa ti manca lassù, Samanta ha risposto una cosa semplice: cibo fresco e un’insalata di pomodori.
Allora, si potrebbe avere un’insalata nello spazio? Vista anche l’intenzione di andare su Marte? Un pianeta che non è vicinissimo, ci vorrebbero 500 giorni, di cui 430 di viaggio (andata e ritorno) e 30 giorni di permanenza. Dunque, considerato il tempo necessario, quanta insalata ci vorrebbe? L’insalata qui è intesa simbolicamente, cioè, quanto tonnellate di cibo sarebbero necessarie per garantire il sostentamento agli astronauti? La Nasa calcola un fabbisogno di 2,5/7 tonnellate di cibo a persona: questo bagaglio oggi non è né tecnicamente né economicamente sostenibile. Quindi? Quindi tocca pensare a qualcosa di completamente diverso (come dicevano i Monty Python).
Qualcosa di completamente diverso: significa che dobbiamo ricreare un ecosistema terrestre ma artificiale, comunque la mettiamo ci vogliono le piante. Le piante sono le nostre fidate compagne. Sono i migliori rigeneratori che conosciamo, purificano l’acqua attraverso la traspirazione, rigenerano l’aria attraverso la fotosintesi, producono cibo e riescono ritualizzare (parzialmente) gli scarti organici dell’equipaggio: più rigeneratore di così…
Poi le piante sono anche belle, dunque posso servire da supporto psicologico, perché la bellezza alimenta la condivisione degli stati d’animo, provate a restare da soli davanti a qualcosa di bello. Non si può, viene voglia di condividere la bellezza con qualcuno: la bellezza rigenera e produce empatia.
Come chiamiamo questi sistemi: Sistemi bio rigenerativi di supporto alla vita dello spazio.
Ma chi sta lavorando a questi sistemi biogeneativi: In Italia, il team di Stefania de Pascale, con Melissa, il programma dell’agenzia spaziale Europea che si occupa di sperimentare questi sistemi, ha portato appunto alcune piante nella stazione spaziale per farle crescere e testarne la resistenza e le risposte in assenza di gravità e in assenza di tante altre cose.
In che modo? Ci sono le salad machine, cioè piccole camere di crescita, nelle quali vengono coltivate ortaggi da foglia, piante di piccole dimensioni, a crescita rapida che non hanno bisogno di molto lavoro e nemmeno di spazi estesi. Sono in genere piante che possono essere raccolte fresche e forniscono oltre al piacere del cibo fresco alcuni micronutrienti.
I problemi: L’assenza di gravità, ragione per cui vengono utilizzate substrati ad alta ritenzione idrica, così che si possano trattenere acqua e nutrienti, e naturalmente vengono selezionate colture che rispondono bene all’essenza di gravità.
Le piante ad alto valore energetico: La patata, per esempio. Ci si sta lavorando, è più complicato, sulla terra viene coltivato in pieno campo, dunque non sono utilizzabili le salad machine, come si dice in gergo: è sfidante. Lo è davvero una sfida, c’è da pensare al substrato, al materiale di propagazione, alle cultivar.
Alla fine, prevarranno i micro-orti spaziali? Per le colture ortive sono già stati sperimentati nei micro-orti. L’orto è stato ospitato in un microsatellite, di dimensione di 30 x 10 x 10 cm dove è stata fatte crescere una pianta di crescione, con una coltivazione totalmente automatizzata e controllata dalla terra. Dopo un ciclo di crescita di 21 giorni, abbiamo ricevuto tutte le informazioni necessarie a capire come cresce una pianta a una distanza di 6 mila Km dalla terra e come si può migliorarne il ciclo: senza un simulatore non si possono sperimentare cose pratiche e terra terra.
E se non andremo su Marte? Avremmo un sacco di ricadute terrestri studiando le piante nello spazio, per esempio, come risparmiare e riutilizzare le risorse perché anche noi, come Samanta Cristoforetti, anche in presenza di gravità, desideriamo cibo fresco e un’insalata di pomodori. Ma a parte i desideri contingenti, la ricerca spaziale ha inventato led e sensori, strumenti per illuminare le piante e per contare la quantità di elementi presenti in circolo per non sprecare risorse: se nel terreno già è presente azoto (e il sensore conta le molecole di nitrato) perché concimare ancora, perché sprecare prodotto e imput energetici? Ora questi strumenti sono utilizzati in alcuni tipi di agricoltura terrestri, come la vertical farm. Sperimentare nello spazio, capire come in determinate ostiche condizioni sia possibile con questi e altri strumenti, far crescere al meglio e senza sprechi le piante, sarà poi utile per realizzare orti nelle megalopoli, nei deserti e ai poli, insomma in ambienti ostili. Dunque, concludendo, la ricerca fatta sulle piante nello spazio darà più spazio alle piante sulla terra.
Pace e stelle a tutti: comunque, se vogliamo vivere in pace quaggiù dobbiamo capire l’importanza delle piante, se invece vogliamo andare su Marte (in pace e uniti) allora la via privilegiata che ci porterà lassù, sarà per forza e di sicuro costellata da tantissime piante e luminose anche.
Al minuto 02.07 https://www.youtube.com/watch?v=Q_-5cNlIlZg