Se potessi fare un appello o coniare uno slogan per un eventuale programma politico sceglierei questo: contro la fine del mondo. Mi accorgo anche di essere fuori tempo massimo, oppure soggetto a (giustissimi) e svariati sfottò. D’altronde, la situazione è quella che è, mica c’è bisogno di sottolineare alcunché, metti anche la pandemia che si spera diventi cosa da niente, appunto invochiamo tutti il raffreddore prossimo venturo, ma oltre all’invasione di Putin che poi ci faremo i conti per davvero, e insomma, al quadro scoraggiante, nell’apposita casella Excel, va aggiunta la questione climatica. Che ricordiamo, è un fatto accertato, come, diciamo la verità, pure la sua origine antropica, per quanti distingui si possano fare. Però sì, contro la fine del mondo, potrebbe essere un programma politico. Contro, cioè, la retorica dell’apocalisse, un vecchio must degli intellettuali che ora si è diffuso come nebbia in ogni dove e appesantisce le discussioni.
Sembra sempre che viviamo nel momento topico, in quel non plus ultra, un passo e siamo nel baratro, e capite bene che la retorica dell’apocalisse non spinge il motore della ricerca, al contrario lo ingrippa, o lo fa girare a vuoto, con quel tipico rumore di biella, così fastidioso. Se la casa brucia, se la barca affonda, scusate, lo so che sembra strano, ma o penso a prendermi la scialuppa migliore buttando a mare il vicino, oppure visto che devo morire mi ascolto l’orchestrina del Titanic, tanto prima o poi tocca a tutti, meglio andarsene in musica. Cioè, questa continua insistenza sui bruciori, i calori, la guerra, al lupo ecc. gridati con caratteri maiuscoli, possono avere due risultati contrastanti. Uno è, visto l’affollamento mediatico: chi grida di più vince, e aumenta i followers, quindi chi dice una sciocchezza illogica viene contrattualizzato in tv e fa una carriera niente male. Siccome il fenomeno è diffuso, lo fai tu, lo voglio fare anche io, finisce che tu dici una cosa assurda e ti va bene, e scusa, ora la dico anche io, così, una dopo l’altra, vengono fuori tesi estreme, scenari da incubo, complottismi vari e soluzioni messianiche o dantesche, che poco cambiano lo status quo: quindi nel lungo periodo si ottiene un effetto paralizzante. L’altro risultato è più traumatico: arriva una temperatura gradevole, uno spiraglio di sole, una nevicata abbondante un po’ fuori stagione, ma sempre a cavallo del ponte tra il 25 aprile e il primo maggio e allora ci rilassiamo, dai prendiamo gli sci, andiamo in montagna, a respirare un po’ di aria pura, dopo questa immersione nell’incubo ce lo meritiamo no? Ti rilassi, non pensi al cambiamento climatico, e va bene, dici, Putin avrà le sue ragioni, e la pandemia è solo un raffreddore, comunque sarà quel che sarà ci penso domani, dopo la sciata. La retorica dell’apocalisse è un problema serio perché incastra le persone in un angolo, addossa loro responsabilità troppo pesanti, e non tutte giustamente accollate ai singoli, così il cittadino o si mette buono buono nell’angolo e ascolta la predica, paralizzato dalle dita puntate, oppure, appena può, appena esce il sole, si scrolla tutto da dosso e addio. Oltretutto, che si voglia o no, la retorica dell’apocalisse non è scientifica e può capitare, come è capitato – basta guardare l’esempio della pandemia- che all’inizio vengano messe in atto misure estreme e inutili, o invocato il castigo divino, come molti intellettuali alla Montanelli dissero al tempo dell’AIDS. Far fuori la retorica dell’apocalisse significa usare la logica e fare spazio all’economia, trovare lo spazio utile e proficuo per le buone soluzioni, come i vaccini. Contro la fine del mondo significa che sì, certo, ci dobbiamo pensare eccome, con inquietudine ma senza toni isterici, con serietà e lungimiranza, e abituarsi a maneggiare più soluzioni e più strumenti. Perché ci sono. Ci sono in agricoltura, nel campo energetico, nelle fabbriche e per i nostri comportamenti quotidiani, ma purtroppo, la retorica dell’apocalisse non ci permette di leggere con animo sereno e logico e razionale i nuovi strumenti, per analizzarli e misurane gli effetti, ti paralizza col noto effetto: è tutto un “magna magna”. Ti fa sentire o peccatore che invoca lo spirito santo o al contrario uno che più puro non si può. In entrambi i casi indossi inutili vestiti da prima comunione con cero annesso a simboleggiare la lotta contro il demonio. Perché la retorica dell’apocalisse si basa sulla proclamazione della fine del mondo dopodomani, anzi, visto i toni, spera anche in una catastrofe mondiale, che almeno si muoia tutti insieme sprofondando quando invece, memori della nostra storia evolutiva, ce ne andremo in silenzio, uno dopo l’altro, insomma niente di speciale o da poter raccontare in un film. Pensiamoci, siamo 8 miliardi, se riusciremo a essere logici, la mia idea insieme alla tua- messa alla prova e misurata- moltiplicherà l’entusiasmo e la felicità. Perché la felicità non sta nella purezza (che per essere valida necessita dell’impurezza infernale), ma nella ricerca di una soluzione di compromesso che sappia fare i conti con le scorie, i rimasugli che la vita produce. E infine, ma è questo, è un pensiero intimo, la felicità non è nella vita ma in una morte sana, senza dolore, con due o tre ricordi che ancora scintillano e illuminano quelle volte che siamo stati uniti e seri e motivati, e non allarmati, ansiosi e isterici da essere, insomma, già morti allora.