Chi di voi non ha mai sentito dire che la soluzione migliore per uscire dalla crisi economica dell’Italia è investire in ricerca? Perché è solo attraverso la ricerca che si mitigano i problemi del cambiamento climatico, della sostenibilità ambientale, di un’economia stagnante e che basterebbe un efficiente trasferimento tecnologico del trovato per concretizzare le soluzioni future. Mettiamo che ci siano ricercatrici capaci e che approfondiscano le conoscenze di base e che per questo e per la potenzialità delle loro applicazioni vincano il premio Nobel.
Mettiamo che accanto a questi ci siano altri ricercatori che riescano ad estendere le conoscenze e trovare delle applicazioni a problemi che magari riguardano settori che i primi neanche immaginavano. Mettiamo che ci siano poi degli umili investitori che supportino, con le loro limitate risorse, alcuni ricercatori per risolvere problemi relativi alla produzione viticola. Mettiamo tutto insieme diamo una bella “shakerata” e ti spunta fuori una spin-off di una piccola università che raccoglie la sfida e comincia a mettere insieme conoscenze attuali con alcune di quelle passate e tenute nel cassetto, quel cassetto che spesso sentiamo dire che gli scienziati usano per conservare dati che non servono a nessuno, se non a la loro carriera.
Insomma, questa è la storia di EdiVite, spin-off dell’Università di Verona, che ha messo insieme le conoscenze di Charpentier e Doudna – Nobel nel 2020 per la scoperta delle forbici molecolari CRISPR/Cas9 – i dati del genoma della vite prodotti dal consorzio italo-francese nel 2007, e le competenze relative alle colture in vitro di tessuti vegetali sviluppate 40 anni fa dal coordinatore del gruppo. Questa miscela di conoscenze e competenze ha fatto si che in tre anni si ottenessero le prime piante al mondo di vite della varietà Chardonnay “editate geneticamente”, cioè mutate con precisione in un gene di suscettibilità, e pertanto meno suscettibili alla peronospora. L’innovazione è tale che la Legge non la contempla ancora: queste piante, per il Regolamento europeo 2001/18 sono OGM perché sono ottenute agendo sul DNA, anche se con un metodo che nel 2001 non era neanche nei pensieri dei legislatori e quindi non sono coltivabili per la commercializzazione nel suolo italico. Cosa fare quindi con queste piante e come trasferire il trovato in applicazione concreta? come organizzare un business plan e un business model, per un’azienda che tenta per prima e concretamente la strada di un miglioramento genetico di avanguardia? Bella domanda per un paese dell’Unione Europea. Tuttavia anche nel mondo politico si fa strada la consapevolezza che le innovazioni importanti per la sostenibilità vanno valorizzate, e grazie ad un emendamento al decreto siccità del 2023 si prospetta una certa semplificazione normativa, almeno per la sperimentazione in campo di queste piante, seppure con i criteri che si applicano ad un qualsiasi OGM. L’emendamento semplifica la pratica autorizzativa, rimuovendo la necessità delle valutazioni dell’impatto agronomico, introdotte nel 2004 nel recepire la legge europea, ma conserva la valutazione di rischio ambientale. Quindi, utilizzando la finestra temporale data dal decreto siccità, giù a scrivere la notifica per essere autorizzati all’emissione deliberata nell’ambiente a scopo sperimentale. Un mese in cui più teste sono impegnate a redigere un documento non facile, di cui le specifiche genetiche rappresentano una minima porzione. Scritto e inviato al MASE, che risponde quasi immediatamente chiedendo agli scriventi se il Dipartimento dove hanno realizzato la ricerca ha tutte le autorizzazioni per lavorare con OGM in ambiente confinato. Già: come hai fatto ad ottenere un prototipo OGM se per caso non hai le autorizzazioni di laboratorio o serra? E quindi, provvedi a inviare questa corposa documentazione, fortunatamente il Dipartimento di Biotecnologie ha tutte le carte in regola ed aggiornate. E quindi adesso si può entrare nel merito della notifica, senza però riuscire a capire molto bene quale potesse essere il rischio ambientale causabile da una pianta con un’unica mutazione mirata in un unico gene e che richiederà meno fitofarmaci. Ma non siamo esperti di valutazione di rischio ambientale e la norma OGM va applicata così com’è. Comunque, i colleghi dell’ISPRA, ente vigilato dal MASE con compito di valutazione della notifica negli aspetti ambientali, hanno capito i nostri limiti e ci hanno finalmente guidati sani e salvi in porto. Dopo tre mesi è finalmente arrivata l’autorizzazione all’emissione deliberata delle piante nell’ambiente, ovviamente con una serie di cautele, le stesse che si applicherebbero anche al più inimmaginabile dei transgenici. Il terreno dove realizzare l’autorizzazione è dell’Università, quindi si passa per una delibera del Dipartimento, ma i colleghi accademici non hanno creato ostacoli. E allora si prepara il campo sperimentale, 250 metri quadri dove alloggiare 10 piante, 5 editate e 5 di controllo: metti une rete sottile interrata per evitare le arvicole, in caso venissero a prendersi DNA mutato (1 base su 450 milioni) e lo portassero in giro; sulla rete sottile si innesta un’altra rete di circa 2 metri, per evitare qualsiasi intrusione, e poi prepara il filare per l’impianto delle viti, lasciando 3 metri di terreno nudo ai due lati, in caso le viti che non muoiono di malattia diventassero invasive (!), come se quando si fanno i trattamenti antiparassitari le viti sane fossero invasive. Va bene. Ma devi anche mettere una telecamera per studiare la fenologia delle piante e fare da deterrente ai male intenzionati. Quindi contatta il garante della privacy dell’Università e metti i relativi cartelli. Quando tutto è pronto, pensi ce l’abbiamo fatta. No, manca ancora il permesso all’impianto delle piante di viti da parte della Regione Veneto, perché in Europa le viti sono tutte numerate e contingentate. E ce l’hai il fascicolo aziendale e il registro viticolo? Questa è la storia del successo scientifico di EdiVite, ditemi voi se l’innovazione genetica potrà mai farsi strada in questo modo. A proposito, le piante di vite sono Chardonnay, magari riusciremo tra tre anni a brindare con del buon vino ottenuto da viti editate!!!!
Mario Pezzotti (Dipartimento di Biotecnologie. Università di Verona)