“È l’ora del bicolore” urlava mia madre puntualmente quando iniziava il mio cartone preferito. La sigla della Stella di Laura fa affiorare tutt’oggi alla mia memoria l’odore di plumcake appena sfornato.
Mi ritrovo catapultata in una consueta domenica sera degli anni delle elementari. L’odore dello zucchero sveglia le mie orecchie assopite sul letto a castello mentre guardo disegni susseguirsi sullo schermo di una vecchia televisione. Scendo frettolosamente le ampie scale, percepisco il freddo del pavimento sotto i piedi che attraversano il corridoio per raggiungere i fornelli. Sul tavolo verde, una torta circolare con un buco al centro, colorata di panna e cioccolato. Trovo mia madre con la schiena curva mentre controlla accuratamente che non ci sia nessuna traccia di impasto crudo sullo stuzzicadenti. Sorride fiera mentre ripone le fette di dolce sui fazzoletti aperti. Nonostante la ricetta non lasci spazio a tanta creatività, lei aggiunge sempre quel suo speciale tocco finale: con la forchetta disegna nell’impasto cerchi immaginari per mischiare la crema nera con la bianca. A dire il vero, i colori di quel bicolore non sono mai bilanciati, non si raggiunge mai l’equilibrio tra la quantità di bianco panna e quella di nero cioccolato. È una caratteristica che mi placa i nervi, anche se preferisco di gran lunga quando lo yang batte lo ying. Quando c’è più panna è più buono ma mia madre non l’ha mai capito.
“Menomale che c’è il dolce” bisbiglia mio fratello travolto dalla malinconia tipica della domenica sera.
Bevo il mio sorso di latte freddo prima di addentare il primo morso. Per me è prassi accompagnare il bicolore con un bicchiere di latte, lo scelgo sempre trasparente affinché si noti il color bianco così puro. Non so decidere tra la crosta dorata che scricchiola sotto i denti o i sorsi di latte freddo tra un boccone e l’altro, ma sono sicura di amare alla follia quelle domeniche al sapore di bicolore. Le custodirò nel mio cuore.