I migliori alleati di alcune multinazionali sono proprio gli ecologisti. Traggo questa tesi da un vecchio ma esaustivo libro di Gregory Conko e Henry I. Miller, Il cibo di Frankenstein. La rivoluzione biotecnologica tra politica e protesta (Lindau).
Il libro più che analizzare i numerosi vantaggi di una pianta GM (quelli li dà per scontati), si concentra con dovizia di particolari sull’elefantiaco aspetto normativo necessario per registrare una varietà GM. Apparto normativo costosissimo che crea una notevole barriera all’ingresso, impedendo l’entrata in campo a molte aziende del biotech.
Il paradosso che i due autori rilevano è il seguente: la tecnologia del DNA ricombinante in sé non è molto costosa. E soprattutto, rispetto alle altre tecniche genetiche (incrocio semplice, ibridazione, mutagenesi, fusione cloroplasti, ecc.), è molto più precisa (oltre che più veloce). Quindi, proprio perché è più precisa, anche più sicura.
Facciamo un esempio: immaginate che io volessi dotare il pomodoro di alcune resistenze. Bene, alcune piante della famiglia delle solanacee sono dotate di geni di resistenza che a noi potrebbero risultare utili. Prendiamo il Datura Stramonio, una pianta della stessa famiglia, ubiquitaria e facile da trovare. Con un semplice incrocio potrei provare a trasferire quei geni a noi utili dallo stramonio al pomodoro.
Problema: lo stramonio è pianta altamente velenosa a causa dell’elevata concentrazione di potenti alcaloidi (in particolare la scopolamina), presenti in tutti i distretti della pianta e soprattutto nei semi, e io col mio incrocio semplice, altrimenti detto tradizionale, oppure naturale (quest’ultimo è un termine improprio ma fa molto cool), trasferirei alla pianta che si ottiene dall’incrocio metà del patrimonio genetico dello stramonio e metà di quello del pomodoro (la pianta ottenuta andrebbe rincrociata tante volte col pomodoro per recuperare i geni perduti).
Voi vi fidereste? Io certo no! Chi ci dice che insieme a quei caratteri utili non abbiamo trasferito anche tratti genetici che codificano per gli alcaloidi? Sarebbe un bel rischio. Invece con la tecnica del DNA ricombinante (che purtroppo abbiamo chiamato GM, spaventando tutti), potrei prendere solo quel gene utile e, conoscendo l’intera sequenza, il promotore ecc., trasferirlo nella pianta di pomodoro, evitando così geni indesiderati (e riducendo notevolmente il tempo necessario a gestire programmi decennali di ibridazioni e re incroci).
Il paradosso è il seguente: se io volessi utilizzare la tecnica tradizionale, quella naturale, meno precisa e più pericolosa, spenderei pochissimo per certificare la nuova cultivar. Se invece – ed è il tema del libro- volessi utilizzare quella del DNA ricombinante sarei costretto a dimostrare che quella nuova pianta è uguale a quella di partenza (cioè al nostro pomodoro).
Per dimostrarlo devo mettere in campo una serie di costosissimi esami e, questione non secondaria, militarizzare i campi di sperimentazione, perché si teme che un gene possa sfuggire e devastare l’intero pianeta, come se solo con la tecnica del DNA ricombinante si spostassero i geni.
Alla fine, per una pianta ottenuta con la tecnica del DNA ricombinate si arriva a spendere centinaia di milioni di euro.
Capite il paradosso? Più dico naturale, più faccio passare sotto banco tecniche che possono non essere così sicure (per loro natura), ma siccome l’aggettivo naturale tranquillizza nessuno dice niente. Se dico geneticamente modificato, invece, pur garantendo nei fatti una precisione mai vista, devo dimostrare che quella nuova cultura è sana, sostanzialmente equivalente a quella di partenza e che nessun gene è stato maltrattato tanto da fuggire per il mondo a far danni.
Un paradosso alimentato dalla paura insensata che alcuni movimenti hanno creato intorno ai prodotti GM e che alla fine ha favorito poche multinazionali, le sole che potevano permettersi controlli così costosi. Naturalmente se una multinazionale arriva a spendere tanto per produrre una varietà di Mais o altro, poi rinuncia a occuparsi di un prodotto tipico, di nicchia che magari necessità di miglioramento, perché non guadagnerebbe abbastanza da ripagare i costi.
D’altra parte la povera ricerca pubblica o le giovani startup biotech non hanno questi soldi per impegnarsi a migliorare il pomodoro San Marzano, prodotto davvero squisito ma quasi scomparso per via di un virus. Il patogeno potrebbe essere sconfitto facilmente usando la tecnica del DNA ricombinante, se su quest’ultima non generasse un immaginario così pesante e falso, insomma spaventoso, tanto che in Italia (e in Europa) è proprio vietato sperimentare in campo piante GM.
Ora, gli OGM sembrano passati di moda, e una nuova tecnica è alle porte, molto promettente: la TEA. Una tecnica ancora più precisa eppure, ad esaminare il protocollo di sperimentazione viene da mettersi le mani nei capelli e dire: ma quasi quasi faccio un bell’incrocio con la varietà selvatica, brevetto con pochi euro, e mi prendo le Royalties.
Per analizzare il paradosso ospitiamo un contributo di Mario Pezzotti che sta curando una sperimentazione sulle viti. Pezzotti ci racconta la difficoltà kafkiana a cui si va incontro quando devi applicare i protocolli di sicurezza richiesti e il via vai di notifiche con i vari Ministeri: è un racconto di Kafka, meno poetico, ma egualmente disturbante.