Con questo caldo è molto difficile discutere di caldo. Già come specie siamo molto influenzabili, pensate quando da due settimane vengono annunciati anticicloni con nomi da paura e i media sottolineano ogni ora le temperature estreme raggiunte (inquadrando i termometri delle farmacie, il modo più scorretto di calcolare la temperatura), che poi magari si raggiungono sì, ma per poche ore e solo in determinate zone. Per non parlare di alcuni articoli che illustrano una Roma infernale con tutte le caratteristiche dei noti gironi danteschi.
Capite bene quanto sia difficile parlare di caldo, voglio dire in maniera razionale, e cioè basandosi su dati misurabili. Se vogliamo provarci, allora è bene sottolineare che, per quanto riguarda l’Italia, per cominciare abbiamo avuto un maggio piovoso, quasi un’anomalia, mentre nel suddetto mese le temperature massime sono risultate sotto media, e quelle minime invece per lo più nella norma. Giugno è stato nella norma, e luglio invece, fino alla seconda settimana, ha fatto registrare temperature di qualche grado appena sopra la norma, ciò vuol dire che molte delle previsioni avanzate nei giorni passati che paventavano temperature di 45 e passa gradi non si sono verificate, sennò in qualche zona interna della Sardegna.
Ma c’è un’altra ragione che rende difficile parlare di caldo, e se ci si basa sui dati è innegabile: il cambiamento climatico. Che è una verità acclarata. Sappiamo anche che l’emissione di gas clima-alteranti è notevolmente aumentata quindi la casualità c’è e si vede. Dunque, tutti noi siamo di fronte a una sfida enorme, quasi impossibile. Dobbiamo gestire un fenomeno, quello climatico, di per sé già estremamente difficile da prevedere, pensate da contenere.
Tutti noi ci facciamo domande tipo: ma se dimezziamo le emissioni del 50% e questo ci costerà molto, di quanto abbasseremo la temperatura? Non lo sappiamo con esattezza, ma dobbiamo provarci e anche qui, fare i conti alla fine.
Siamo disposti a farlo? Ci crediamo? Che strumenti abbiamo a disposizione? Quelli seri e non quelli glamour che fanno tendenza (e poi in campo non danno risultati). La preoccupazione allora è che vista l’innegabilità del cambiamento climatico antropico molti di noi si lascino suggestionare dall’emotività, in un senso o in altro.
Chi perde la razionalità e butta cifre a caso nel tentativo di convincere i più a darsi una mossa, chi nega spudoratamente il problema, perché magari da lui, in montagna, stanotte è stato fresco.
Qui invece nel complesso mondo reale (con otto miliardi di persone ognuno con svariati e diversi interessi e ambizioni e modelli energetici) dobbiamo trovare un’intesa, e dunque non esagerare con gli aggettivi e concentrarsi sugli obbiettivi realisti: una ragione in più per essere razionali.
Sarà una battaglia lunga, di molti molti decenni e non sempre troveremo conferma nelle nostre paure climatiche, magari si avranno anni molto caldi e problematici e altri meno, e dunque la preoccupazione è che ci accaldiamo durante le estati calde (accaldati per modo di dire, poi ce ne andiamo al mare o in montagna) e ci raffreddiamo quando arriva un bel venticello e fatti i conti tra un’esaltazione climatica e un’alzata di spalle, finisce che facciamo poco e niente e ci abitueremo a tutto.
Intanto, per prepararci, che ne dite di parlare di una pianta che regge molto bene il caldo e che può darsi molti sostentamenti? Di che pianta si tratta? Del Fico d’India. Il migrante per eccellenza da cui abbiamo molto da imparare